Fool ha intervistato Pietro Iori, in mostra ad AAM, presso lo stand della galleria Eidos Immagini Contemporanee, con il suo progetto dal titolo Uno Sguardo Ascoltava
Pietro Iori è nato a Reggio Emilia il 18 marzo del 1973 e sì è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Il suo lavoro può essere definito concettuale e la sua ricerca attraversa diversi ambiti dall’uso della fotografia, al video e all’installazione. Nei suoi lavori ogni materiale utilizzato passa attraverso un processo di decontestualizzazione per acquisire nuovi significati.
Ci puoi raccontare come è nato il tuo progetto ?
“L’opera che presento qui è un lavoro che ho realizzato con l’Assessorato ai lavori pubblici e parla della memoria rappresentando un paesaggio che non esiste più, infatti, il quartiere nelle foto è composto da edifici di edilizia popolare nati nella periferia di Reggio Emilia negli anni Cinquanta che è stato completamente smantellato qualche anno fa. L’opera è composta da light box di diversi colori che rappresentano ognuno un modulo abitativo e dentro c’è una luce che illumina una fotografia come fosse una finestra all’interno di una abitazione che si affaccia su quegli edifici. Mi interessava molto rappresentare un tema sociale, l’pera è stata, infatti, realizzata proprio mentre in città si discuteva sulla demolizione di questo quartiere. Il mio punto di partenza è l’Unitè d’habitation di Le Corbusier a Marsiglia, un edificio costruito per i proletari nel 1946 e ancora oggi abitato perché funzionale alle esigenze dell’uomo. Anche i colori con cui ho realizzato i diversi moduli si rifanno proprio a quell’edificio”.
In qualche modo la memoria deve essere un insegnamento per il futuro?
Sì certo, la memoria deve essere un punto di partenza
Perché questo titolo Uno sguardo ascoltava?
Mi piaceva l’ossimoro e l’idea che in qualche modo dalle finestre di quegli edifici si affacciavano persone che ascoltavano suoni e vedevano cose.
Quando hai capito che avresti voluto fare l’artista?
Non c’è stato un vero momento, a un certo punto ho sentito il bisogno di dire qualcosa e ho scoperto che il modo di dirlo era per me realizzare opere di matrice concettuale con diversi strumenti dall’installazione alla fotografia, alla grafica.
Cosa pensi di questa fiera?
È la prima volta che vi partecipo, ma mi sembra un ambiente frizzante e dinamico, dove è possibile confrontarsi con altri artisti e diverse forme d’arte.
Pensi che sia difficile per i giovani artisti riuscire ad affermarsi?
Sì soprattutto perché nel nostro Paese non c’è nessuno che ti aiuta, si fa fatica a farsi conoscere e nonci sono supporti anche a livello dello stato, con le nuove norme ad esempio, sembra che non vogliano veramente pensare al futuro dei giovani.
di Benedetta Bagni