Kova nei suoi lavori mette a nudo i problemi dell’essere umano di oggi. Non per distruggere ma per stimolare e migliorare il mondo che ci circonda
“La sua pittura nasce da un surrealismo critico riletto alla luce di un classicismo d’avanguardia dove, senza perdere di vista i canoni aurei dell’arte, la figura si fa simbolo della condizione umana; deformata dalle forzature della linea e attraverso l’armonia cromatica va alla ricerca del mito per distruggerlo”. Così il critico Gianni Daccomi sintetizza il percorso artistico di Kova, nome adottato dall’artista genovese Domenico Cova, che dai primi anni Novanta porta avanti il suo percorso di “grillo parlante” critico sull’evoluzione della società.
Il lavoro di Kova si è sviluppato, fin dai lavori d’esordio, nella trasformazione della scultura sulla tela, limitandola quindi alla pura bidimensionalità. Al tempo stesso ha analizzato e fatto suoi alcuni dei movimenti artistici dei primi del Novecento, come il Futurismo e la Metafisica, cercando di reinterpretarli su temi a lui congeniali. “Vivere l’arte per me significa dare un contributo capace di migliorare e stimolare la società che mi circonda”, sottolinea l’artista.
Le ‘Cabezas’ sono uno dei primi temi che hanno caratterizzato la sua ricerca artistica. E proprio attraverso la trasformazione-distruzione di una parte anatomica del corpo umano (la testa, elemento simbolico) Kova ha cercato di trovare la vera essenza del proprio io. Grazie a una personale interpretazione ha trasformato ogni elemento fisico in volume plastico, distruggendo la “maschera” (il volto umano) che la società impone e rende necessaria per vivere e comunicare con gli altri. “Le ‘Cabezas’ sono una parte della verità quotidiana – spiega l’artista. – Analizzando le maschere ho cercato di far emergere la nostra vera faccia, quella che raramente offriamo agli interlocutori che quotidianamente ci stanno davanti. I miei quadri, al contrario, giudicano chi li osserva e diventano essi stessi uno specchio, il vero specchio dell’anima”.
Lo sguardo artistico di Kova si è poi spostato sul tema della guerra e delle brutture del mondo, cercando di indagare il futuro dell’essere umano, oggi troppo materialista e sempre più lontano di quegli ideali spirituali (e laici) che invece dovrebbero caratterizzarlo. “I quadri di questo periodo sono nati da una mia personale esigenza di criticare il momento globale davvero buio che si era sviluppato. Gli eventi drammatici e ambigui accaduti allora, sono avvolti ancora oggi da non precisate cause concatenanti e sono stati seguiti da una guerra fallimentare dovuta a molti interessi economici e agli assestamenti dei ruoli del potere geo-politico – evidenzia l’artista. – Nel V secolo. a.C. Crizia diceva che la legge non basta per gestire e disciplinare gli uomini: così i legislatori dell’epoca introdussero la religione per soggiogare il popolo attraverso la paura del soprannaturale, assumendo il potere totale. Penso che oggi non sia cambiato molto, c’è solo l’esigenza di modificare gli dei a cui essere devoti”. Ed è proprio la ricerca spasmodica di nuovi dei da parte della società contemporanea che ha portato Kova alla fase successiva della sua produzione, definita proprio dalla parola ‘Society’. “In questo caso la donna è diventata il vero simbolo-feticcio dell’effimero. Così sulle fattezze femminili ho dato vita a una sorta di icona del nuovo millennio, ciò che ci obbligano a idolatrare. Sulle mie tele ho creato dei robot ironici per rappresentare l’estetica estremizzata, perché il mondo femminile sembra non riuscire a trovare un reale livello di bellezza, diventando quasi sempre ridicolo senza esserne cosciente”.
Ma Kova sta già guardando al futuro, al suo prossimo passo di artista-cassandra. “Ho molte idee a cui sto lavorando, sempre senza perdere di vista il mio punto di vista critico verso la società che cambia rapidamente: so bene che quello che ho in mente ora, fra qualche mese potrebbe già essere obsoleto! Tra i temi che più che più intrigano c’è quello degli Abbracci, un particolare momento di incontro che stiamo rapidamente perdendo… Quello che vedo è che lo scambio e l’abbraccio fra esseri umani non esiste più. E per consolarci spesso abbracciamo i surrogati che riempiono la nostra esistenza, specie quelli di origine tecnologica. Oggi chi abbandonerebbe mai l’abbraccio del proprio cellulare…?”
di Viviana Neri