NEL SEGNO DELLE SPEZIE

estero | luoghi del gusto | vino
23 aprile 2014

Mescola sapori e profumi come la terra da cui origina: non potrebbe essere diversamente la cucina del Libano, un paese di appena 10.000 chilometri quadrati dove convivono ben 18 confessioni religiose.

Stretto tra due paesi (la Siria e Isreale), ma affacciato al mare (il Mediterraneo a ovest) il Libano è forse una delle terre da sempre più conosciute al mondo. Purtroppo la prima cosa che viene in mente quando si parla di Beirut non sono certo i cedri o la sua antichissima storia, bensì uno dei teatri di guerra più cruenti e dolorosi per l’umanità.

Il Libano, ufficialmente Repubblica libanese, è un paese del Vicino Oriente: per millenni è stato un punto di incontro tra civiltà differenti a cominciare da quelle fenicia, egizia, assiro-babilonese, persiana e romana, ma il suo suolo è stato toccato anche da bizantini e soprattutto dagli arabi. Oggi è abitato da ben diciotto confessioni religiose, ciascuna dotata di una propria distinta identità, ed offre un panorama culturale straordinariamente ricco e stratificato.
L’Unesco ha identificato cinque siti libanesi (Baalbek, Jbeil,Aniar, Tiro e la Valle di Qadisha) come patrimonio dell’umanità e questo fatto è noto a molti; pochi però sanno quanto la sua cucina, frutto di intesi commerci con molti paesi medio-orientali e occidentali (Francia e Italia principalmente) sia diffusa, rinomata e apprezzata. Dovrebbe indicarlo la bandiera del paese che al suo interno contiene un’immagine del cedro, pianta spontanea e in passato molto diffusa in questa area geografica, ma forse anche l’idea del cedro riporta oggi la mente ad altri episodi, come la Rivoluzione dei cedri, compiuta nel febbraio del 2005 da una popolazione ai limiti della sopportazione verso l’ennesima usurpazione, quella siriano. Resto però significativo come proprio quella guerra esprimesse la volontà di un Libano giovane (si narra che fossero tanti i ventenni nelle piazze), intenzionato a mostrare al mondo quanto di buono ci sia adesso in quella stretta lingua di terra. Non possiamo dire che sia stato tutto merito loro, ma se oggi artisti come Wyssem e Cécile Nochi, Zena Zalzal e Nour Najjar (solo per citarne alcuni) possono esprimere le loro idee, esporre le loro opere e far conoscere il volto di una Beirut diversa qualcosa lo devono anche a quel momento storico.

Nei secoli tuttavia è stata più rilevante la migrazione dei libanesi verso altri lidi, in cerca di diverse fortune: l’America del sud (soprattutto Brasile e Argentina), l’Australia, alcuni paesi dell’Africa come il Senegal, e l’Europa mediterranea. Qui hanno saputo, forti delle proprie radici e origini, ricreare quelle attività che tanto li contraddistinguevano in patria, i servizi bancari e finanziari, ma anche le attività legate al turismo e alla gastronomia. Ne sono un esempio i tanti ristoranti libanesi che sono sorti in tempi recenti soprattutto in Francia e in Italia: per tutti valgono poche regole ovvero quelle di un ambiente moderno ed elegante, un servizio ineccepibile e una cucina tradizionale locale che non di rado tuttavia strizza un’occhio alle tendenze moderne.

Nella capitale francese sono rinomatissimi il Mazar, 9 bis Boulevard Montparnasse, Al Diwan, 30 Avenue George V, Feyrouz, 30 Avenue George V: tutti in zone centrali, frequentati da un pubblico di livello attento alle formalità di un paese straniero. Non va dimenticato che la Francia è forse tra gli stati che hanno da sempre avuto maggiori rapporti con il Libano, in termini politici prima che commerciali. Diverso invece è il caso dell’Italia che oggi rappresenta il più importante partner economico del paese medio orientale con quasi il 12% delle importazioni nel paese.

Ne abbiamo parlato con Rabih El Monla manager del ristorante Lyr di Milano, corso Sempione 48, uno dei molti locali aperti in città. “Il Lyr non è il solo ristorante a Milano, ma è certamente il più elegante e con l’offerta più esclusiva” spiega Rabih. “La nostra clientela è libanese, ma non solo: a scegliere Lyr sono anche parecchi uomini d’affari, forse per il tipo di servizio oltre che di cucina che sappiamo offrire”. A caratterizzare il locale è l’atmosfera certo, ma anche la scelta degli ingredienti, quasi tutti di provenienza locale. “Cerchiamo di far arrivare la maggior parte delle spezie dal paese, mentre molti altri ingredienti si trovano comunemente anche in Italia. La cucina libanese, influenzata dalla tradizione araba e da quella del mediterraneo con un tocco francese, utilizza prevalentemente carne di manzo e frutta secca, tra cui mandorle pinoli e pistacchi, con condimenti a base di succo di cedro. Le minestre sono sempre molto leggere, arricchite da lenticchie e speziate con cannella: questo perchè una delle caratteristiche della nostra cucina è la semplicità di fondo degli ingredienti, che permette di trasformare la base tradizionale, portando il piatto ad essere più sofisticato, arricchendolo di volta in volta di nuovi sapori. Ne è un esempio il piatto tipico, il tabbooleh, un’insalata di prezzemolo, pomodori e burghul, con numerose varianti, il cui gusto ricorda decisamente il limone. In un pasto libanese non mancano mai neppure le mini pizze libanesi. Ma è nei dolci che la cucina libanese si avvicina molto alla tradizione mediterranea, turca, greca e araba ed usa ingredienti freschi e saporiti e spezie raffinate”.

Una vicinanza di tradizioni e di tempi che consentono a locali come il Lyr di rifornirsi quasi quotidianamente di ingredienti, ma anche di vini, quasi tutti di provenienza locale nella carta: “le importazioni di vino dal Libano non sono più difficoltose di quelle da altri paesi”, continua Rabih, “l’Italia è un buon partner commerciale del Libano: perchè fare in modo che le cose cambino?”

di Barbara Carbone

IL VINO DELLA VALLE DELLA BEKAA
Furono i fenici, ben 4.000 anni fa, a portare la coltura della vite in Libano, nell’unica oasi che, nella storia del paese, non è stata sfiorata dal fondamentalismo islamico e dai conflitti: la Valle della Bekaa. La coltura è stata mantenuta e potenziata, in questa piccola roccaforte, anche con l’arrivo della comunità cristiana ortodossa, sebbene se la sua produzione continuasse a restare limitata ai soli riti ecclesiastici e le loro mense. A dare una vera spinta alla viticoltura nella Valle fu l’occupazione francese, in particolare nel periodo tra le due Guerre, quando i vitigni coltivati maggiormente diventarono lo Chardonnay e il Sauvignon. Oggi il Libano vanta una produzione di 5 milioni e mezzo di bottiglie all’anno, esportate in ben 18 Paesi, e il 90% proviene dalla Valle Bekaa. Si tratta di vini bianchi, freschi e non particolarmente persistenti, rosati, leggeri e da tutto pasto, e rossi, più strutturati, ma non ancora pronti per un vero processo di invecchiamento nel tempo. Nel complesso i vini libanesi si accompagnano alle speziate pietanze locali offrendo nettari più sinceri e spigolosi, talvolta poco armonici capaci però, meglio dei nostri prodotti più evoluti, di non “stonare” (sovrastare o più spesso restare sovrastati) dai forti contrasti di gusto presenti nella cucina medio-orientale.

 

Lascia un Commento