Da martedì 8 aprile, l’artista di origini sudafricane Peter Liebenberg espone alcune opere concettuali all’Una Hotel Tocq di Milano. Noi, lo abbiamo intervistato.
‘I see what you mean’ (letteralmente, vedo quello che vuoi dire) si dice in inglese per affermare che si è capito qualcosa. Perché quando si afferra un concetto ‘è come se gli occhi si aprissero’. Rifacendosi a questa espressione, l’artista sudafricano Peter Liebenberg inserisce caratteri Braille nella quasi totalità delle sue opere d’arte, per indicare che il suo sguardo ha incontrato ed elaborato qualcosa di nuovo.
I suoi quadri riconducibili all’arte concettuale sono in mostra dall’8 aprile (fino a data da definirsi) nelle sale dell’Una Hotel Tocq di Milano (zona Garibaldi), che con i suoi ambienti raffinati farà da perfetto contenitore per i lavori dell’artista.
Liebenberg, 47 anni, è da diverso tempo in Italia, dove è rifugiato politico. Dal Sudafrica è stato costretto a fuggire giovanissimo (era l’88) a causa del suo impegno politico contro l’apartheid. Ha iniziato a dipingere nel 2002, partecipando a molte mostre internazionali, ma ora il suo lavoro si concentrano in Italia, dove, probabilmente, ha trovato il suo secondo nido e dove continua ad essere impegnato come attivista per i diritti umani. A Mandela, ai temi del razzismo e dei diritti umani sono dedicate alcune sue opere sporadiche. Ma la maggior parte dei suoi lavori, pur essendo influenzata dal suo vissuto, tratta di altro, di comunicazione, della voglia di guardare il reale con occhi diversi, di novità apprese. “La mia è un’opera di ricerca e di crescita continua” specifica lui.
I lavori esposti all’Una Hotel Tocq (quattro serie in tutto) sono emblematici del modo in cui Liebenberg legge il mondo. La serie gesso su legno The Unuttered (l’inespresso), con lettere del nostro alfabeto e segni Braille, è un invito a dare peso alle parole:”È dedicata alle cose che non ti ho detto e alle cose che dovevano essere dette” spiega l’artista. Nella lobby dell’hotel è esposta la serie Seeds of Thought (semi di pensiero): semi disegnati a matita su fondo betulla. “È un’opera contro la crisi – dice Liebenberg -. Io credo che per superare il periodo buio sia necessario essere creativi, piantare dei semi che poi cresceranno. Per ciascuno di questi lavori, ho dovuto temperare la mina ogni due/tre colpi, perché ho sprigionato una grande energia nel realizzarli”.
La collezione Kaleidoscope comprende foto fatte con un caleidoscopio montato su una fotocamera digitale: un nuovo modo di vedere il reale. Mentre Map of Man è la rappresentazione su tela di quanto sia complesso ciascuno di noi.
“Amo sperimentare con i materiali – spiega l’artista -, sono molto materico. Lo era anche Burri, artista al quale mi sento vicino, nonostante i nostri lavori si differenzino molto”. Quali sono le difficoltà che oggi gli artisti incontrano? “Nel mercato dell’arte milanese è più facile vendere un quadro a 5.000 euro che venderne uno a 500: cioè si predilige investire su un artista perché è ‘qualcuno’, non per altro. Ma ci sono anche delle barriere che gli artisti stessi si creano, quando mancano di creatività e copiano. Volere emulare è un limite che non fa emergere. Quello che prediligo maggiormente della mia arte è proprio il fatto che non copio. Per questo, quando mi chiedono a che artista mi ispiro, faccio fatica a rispondere, perché non ce n’è“.
di Simona Carletti