Per poter realizzare i propri oggetti, proponendo forme alternative a quelle tradizionali, i designer oggi scelgono l’autoproduzione. E per la vendita dei loro manufatti si appoggiano alle sempre più numerose gallerie, nate con l’intento di promuovere questa nuova forma di artigianato.
Progettare, realizzare, promuovere e distribuire le proprie creazioni di design senza dover dipendere da grosse aziende, ma facendo tutto da sé. È l’autoproduzione, concetto che oggi molti designer stanno cercando di mettere in pratica, anche con l’aiuto di negozi e gallerie che danno loro visibilità e che in certi casi si accollano parte delle spese di produzione. Per alcuni è semplicemente un trampolino di lancio verso il design industriale ma per altri è una scelta definitiva. Serve avere spirito imprenditoriale, dal momento che è necessario investire in macchinari, materiali e promozione; ma a fronte delle spese, nella maggior parte dei casi si riesce a ottenere un buon riscontro di pubblico, mentre si dà vita a oggetti slegati dai canoni imposti dal mercato dei grandi numeri.
Quelli di Subalterno1
Tra le gallerie che stanno promuovendo fortemente l’autoproduzione è da annoverare Subalterno1, realtà creata dal docente del Politecnico Stefano Maffei e da Andrea Gianni, intorno alla quale gravitano diversi designer sia di fama sia meno conosciuti, tra cui spiccano i nomi di Matteo Ragni, Antonio Cos, Paolo Ulian, Massimiliano Adami. “Subalterno1, nel quartiere Lambrate a Milano, è una vetrina che nasce per dare visibilità all’autoproduzione italiana – racconta Andrea Gianni -. All’interno dei nostri spazi ci occupiamo di mostrare e distribuire i designer e i loro progetti e di mettere in contatto diretto i produttori con i clienti”. Chiunque può esporre presso Subalterno1? “Selezioniamo prodotti che siano in linea con il nostro approccio. Gli articoli sono comunque molto vari, anche nei prezzi: si va da oggetti che vengono venduti a 30 euro, ad altri che hanno un valore sopra i 1000 euro, a seconda dei materiali di cui si compongono e della loro destinazione d’uso”. Come mantenere alta l’attenzione del pubblico su questi prodotti? “Eventi attivati durante tutto l’arco dell’anno ci permettono di richiamare persone interessate presso la nostra galleria. Tra gli appuntamenti particolarmente rilevanti degli ultimi mesi è sicuramente da annoverare la mostra ‘Autoproduzioni Italiane’ che durante il Salone del Mobile ha riscosso un grande successo sia da parte del pubblico che da parte della stampa”. Cosa succede agli oggetti esposti, al termine degli eventi? “Le autoproduzioni vanno a comporre una collezione permanente all’interno della galleria che diventa così un luogo di riferimento fisso sia per i designer che per i compratori – continua Gianni -. Per implementare il progetto, siamo inoltre alla ricerca di sponsor che condividano la nostra idea di design e che vogliano sostenerla”.
Designer da tutta Europa allo Spazio Rossana Orlandi
Un altro indirizzo dove spesso vengono ospitate le opere di designer che si autoproducono è lo Spazio Rossana Orlandi, location che si prefigge di scoprire nuovi talenti. “Il nostro spazio è simile a una galleria d’arte, poiché esponiamo oggetti disponibili in un numero di limitato. – dice Marco Tabasso, responsabile dell’ufficio stampa di Rossana Orlandi -. Oltre che con i designer italiani, collaboriamo molto con gli stranieri, soprattutto olandesi e svedesi, perché quella dell’autoproduzione è una tendenza che ha una lunga tradizione nel nord Europa. Per i designer che vogliono farsi conoscere, il nostro spazio diventa un vero e proprio punto vendita, un luogo d’incontro con i clienti. In alcuni casi siamo noi ad accollarci parte delle spese di realizzazione, pagando i macchinari necessari e i materiali, ma il processo produttivo è comunque lasciato in mano ai designer. La galleria guadagna sul venduto, in percentuali che variano in base al tipo di prodotto e in base agli investimenti fatti”. Quali sono i vantaggi per chi decide di autoprodursi? “I designer assumono anche il ruolo di imprenditori. Questo comporta dei rischi, ma ci sono tanti casi di successo: per fare un esempio, Piet Hein Eek e Tom Dixon, con cui collaboriamo, sono nomi noti legati all’autoproduzione. Inoltre, serve ricordare che molti designer di fama hanno iniziato facendo pochi pezzi e autoproducendoli, per poi passare al design industriale”.
I neo-artigiani di Whomade
La figura del designer che produce da sé confina con quella dell’artigiano d’avanguardia. Ciò avviene in particolar modo per Whomade, un brand sotto la cui ala si muovono artigiani provenienti da tutta Italia (e non solo). L’idea si basa sull’interazione continua tra Dario Riva ed Edoardo Perri, i designer creatori del brand, e gli artigiani che di volta in volta partecipano al progetto. I costi di produzione vengono divisi tra le parti. “Quello che promuoviamo è un concetto un po’ più avanzato di autoproduzione – dice Dario Riva -. Mentre il modello classico di autoproduzione difficilmente si spinge alla conquista del mercato, noi cerchiamo di dare la più ampia visibilità ai prodotti, sfruttando anche canali quali la Rinascente e Yoox. In questo modo vogliamo dimostrare che l’artigianato rivisto in chiave contemporanea può conquistare quei mercati dove ora dominano solo i brand di design industriale”. Come è possibile gareggiare con prodotti realizzati in modo industriale? “Noi ci riusciamo proponendo articoli dai prezzi competitivi (da 60 euro in su). Per mantenere bassi i prezzi di vendita, creiamo oggetti con materiali non costosi: per esempio la linea Origami, che comprende complementi d’arredo e per la tavola, è fatta con metallo piegato a mano. Realizziamo anche prodotti con materiali pregiati, come il vetro di murano, ma si tratta di eccezioni in edizioni limitate”.
di Simona Carletti
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