Una domanda che nel mondo della ristorazione potrebbe avere tante risposte, ma che a conti fatti, si traduce in un format esperienziale dai ritorni interessanti.
In una città come Milano raramente ci si stupisce di format, idee o nomi stravaganti, dietro ai quali altrettanto raramente ci si domanda a cosa corrispondano e se, effettivamente, rappresentino un modello di successo. Eppure merita talvolta di soffermarsi a valutare l’originalità di un progetto che, prendendo spunto da un concetto semplice e immediato, sembra essere in grado di dare vita e sostanza (anche economica) a un’attività quasi all’ordine del giorno nelle grandi metropoli italiane. Riccardo Danesi non è nuovo nel panorama della ristorazione, anche se le sue esperienze sono tutte all’estero: in Francia soprattutto dove si è cimentato in più di un’impresa gastronomica, raggiungendo risultati non indifferenti, come la Stella Michelin assegnata a uno dei suoi locali. Poi la scelta di tornare alle origini, alla sua Italia, senza mettere da parte il bagaglio costruito negli anni, anzi: l’intenzione è stata proprio quella di metterlo a frutto, trasformando in un business quello che si cela dietro un piatto.
Al Dersett, il locale da lui aperto con altri 3 soci, la cucina è prima di tutto un ricordo, una sensazione: siamo nati e cresciuti in un paese dove ogni comune, potremmo dire ogni quartiere, ha la sua ricetta, il suo ‘sapore’ che magari è cambiato o non è più consumato come un tempo, ma è rimasto nella memoria storica di tutti noi. Ecco allora che un romano si illumina davanti a un cacio e pepe, un milanese sentendo risotto con l’ossobuco e un emiliano con una lasagna, ma se in tavola arrivasse la ricetta originale, banalmente la concorrenza sarebbe tale e tanta da non rendere il locale un format. Diverso se la cacio e pepe sono delle crocchette impanate e dorate al sapore di cacio e pepe, se il vitello tonnato è un cubo di carne di vitello servito su un letto di crema di patate e guarnito con un top di salsa tonnata. O ancora se il mitico uovo fritto arriva in tavola cotto a 63°, impanato e fritto e servito su una vellutata di patate con scampi. La materia prima, semplice, ma curata si arricchisce di un plus che non incide sul conto economico, ma rende l’esperienza quasi più ‘buona’, grazie al ricordo che la riscopre. Un po’ come la selezione dei vini fatta dal bravo Fabio Scarpitti che nella sua carta predilige sempre le cantine del territorio il cui sentore e gusto ricordano quello della migliore Italia in campagna: i nostri vitigni di sempre, lavorati per portare nel bicchiere un nuovo ricordo.
di Barbara Carbone