C’è un legame forte che accomuna arte e cibo: quello della creatività, che attraverso i gesti trasforma l’idea in sostanza. Accade così che lo Zazà Ramen di via Solferino – giovane ristorante specializzato nella tradizionale pietanza giapponese tanto cara all’ispettore Zenigata (da cui prende il nome) – diventi il crocevia di interessanti sperimentazioni artistiche.
Dopo i dipinti murali di David Tremlett, tocca ora all’olandese Kees de Goede riempire gli spazi vuoti delle pareti del locale. Tre tele monocrome di forma tonda costellate da piccole macchie di nerofumo, che l’artista ha “inciso” tramite una candela accesa. Un gesto creativo che racchiude in sé uno slancio sia fisico che mentale. “Quando lavoro coinvolgo sia il corpo che l’anima. È un po’ come guardare la tv e coglierne i diversi piani”, racconta de Goede, che per realizzare la sua ultima fatica ha posto la tela rovesciata su di un cavalletto, per poi accovacciarsi sotto e, con pazienza certosina, annerirla. “Non avevo idea di quale sarebbe stato esattamente il risultato finale, ma ciò che contava era il gesto pittorico in sé”, afferma ancora de Goede.
Nelle intenzioni dell’artista, però, quest’opera – portata a compimento proprio in Italia, in uno studio situato a pochi metri dal ristorante – rappresenta anche un omaggio alla cultura nipponica: innanzitutto la forma tonda, che ricorda la bandiera nazionale e poi la curiosa e, forse, casuale assonanza che accomuna il nome Zazà e il termine che in Giappone è usato per indicare le macchie di fuliggine, vale a dire “su-su”.
Un lavoro che quindi racchiude in sé le anime dei due soci del locale: lo chef di origini giapponesi e la “mente creativa” olandese. Proprio quest’ultimo, Brendan Becht è colui il quale ha voluto puntare fortemente sull’aspetto artistico. Figlio di un noto collezionista d’arte – il primo a organizzare una personale di Piero Manzoni nel lontano 1959 – ed ex cuoco professionista, nello Zazà Ramen è riuscito a fondere le sue due passioni. “È un progetto nato circa un anno fa – spiega Becht –. Insieme al mio socio e amico avevano constatato come a Milano mancasse un posto che preparasse ramen, una pietanza molto comune in Giappone e così abbiamo deciso di realizzare un ristorante contemporaneo, nipponico nello spirito, ma senza i soliti cliché. Inoltre, mi interessava anche dare sfogo al mio secondo amore, senza però creare una vera e propria galleria. Alla fine ho deciso di riempire gli spazi vuoti del locale con le opere e di alternare gli artisti una volta l’anno”.
di Luigi Piscitelli