TUTTA QUESTIONE DI … FIUTO

musei & gallerie
08 settembre 2013

Massimo De Carlo, nella sua galleria, non sposa correnti o artisti. Sceglie le opere da esporre seguendo solo il proprio istinto. Che da sempre collima anche con i favori di pubblico e critica.

È mossa da “un’esasperata voglia di creare situazioni interessanti e una grande attenzione al lavoro degli artisti” la ricerca di Massimo De Carlo, uno dei galleristi più autorevoli del panorama italiano. D’altra parte, se è vero che i collezionisti si suggestionano da soli e il potere di influenzabilità di una galleria è molto piccolo rispetto alla loro forza di autocondizionamento, significa che De Carlo possiede un fiuto sottile per quanto nasconde il seme della novità. Ma non solo.

Poiché nell’arte contemporanea la bellezza delle opere non è un parametro di riferimento, De Carlo ha saputo “cogliere l’utilità che un gesto artistico porta al dibattito della contemporaneità, alla sua comprensione o alla creazione di un percorso intellettuale”.

La sua avventura inizia verso la fine degli anni Ottanta, quando si avvicina al neo geometric conceptualism, una tendenza caratterizzata da assemblaggi freddi e impersonali, composti da reali prodotti commerciali e oggetti propri dell’immaginario quotidiano della cultura moderna, presentati come opere d’arte di una bellezza senza tempo; ma anche da raffigurazioni geometriche giocate sull’accostamento di tonalità cromatiche o di effetti optical in grado di trasmettere alla superficie pittorica l’illusione di forme in rilievo; come pure dalla combinazione di tecniche, materiali e oggetti provenienti dalla civiltà tecnologica e dai mezzi di comunicazione di massa. Un’arte oggettiva, metropolitana, minimalista, distaccata, analoga a un prodotto industriale, potenzialmente riproducibile all’infinito, ma concettualmente unica.

Racconta De Carlo: “nel 1987, quando ho aperto la galleria, mi interessava la situazione legata ad alcuni personaggi del cosiddetto ‘neo-geo’. Ho collaborato con John Armleder, Olivier Mosset, Steven Parrino, artisti che erano all’interno di una dimensione molto più ampia. La collaborazione con gli artisti italiani è arrivata dopo. Proponevo quello che mi interessava e che mi piaceva”. Ed è stato fortunato, perché ha scelto giusto, riuscendo a inserirsi in un collezionismo estremamente instabile e capriccioso ma molto quotato.

Al contrario dei collezionisti più tradizionali che vanno alla ricerca di quello che già conoscono ed esiste, “gli amanti dell’arte contemporanea collezionano cose che non ci sono”. De Carlo le cerca e le trova per loro con la rapidità con cui cambiano i gusti e le mode. Lo fa perseguendo la qualità, la filosofia sulla quale si fonda lo spirito della galleria. Una realtà strutturata, dal respiro internazionale che non si pone limiti dedicandosi ad artisti emergenti e a nomi affermati, senza circoscrivere il proprio raggio di azione. I suoi committenti sono sparsi nel mondo: si tratta soprattutto di istituzioni straniere pubbliche e private, appassionati e compratori che “consumano l’arte e la usano in modo completamente strumentale: come scommessa per il valore aggiunto che riesce a dare in breve tempo, come veicolo sociale, come status finanziario o intellettuale”.

Ma quali degli artisti italiani proposti in galleria hanno successo all’estero?

“Sono in molti ad aver ricevuto importanti riconoscimenti. Roberto Cuoghi, con la sua installazione sonora Mei Gui, ha ricevuto una menzione speciale in quest’ultima Biennale di Venezia. Paola Pivi ha appena organizzato una performance alla Tate di Londra. Massimo Bartolini,  Simone Berti, Luigi Ontani, Diego Perrone, Maurizio Cattelan, assieme a Cuoghi e la Pivi, partecipano alla mostra, curata da Bonami, Italics. Italian Art Between Tradition And Revolution, 1968–2008 presso il Museum of Contemporary Art di Chicago”.

Per non fare torto a nessuno il consiglio è di regalarsi un paio d’ore per visitare la sede nel complesso dell’ex fabbrica Faema di via Ventura 5, nella zona di Lambrate, oggi popolata dalle migliori gallerie d’arte contemporanea di Milano.

di Rachele Perbellini

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