Un manager fatto ad arte

estero | musei & gallerie
19 gennaio 2010

Può un gallerista diventare il direttore di un museo? La risposta è Jeffrey Deitch nuovo direttore del Moca di Los Angeles che sembra ancora una volta dimostrare quanto arte ed economia siano più legate di quanto si pensi

La sua nomina ha diviso il mondo dell’arte. Da una parte ci sono quelli che pensano che un gallerista, abituale scopritore di talenti, costantemente aggiornato sulle novità possa essere una ventata di freschezza nella direzione di una struttura complessa come un museo, specie se confrontato a un intellettuale astratto; dall’altra, invece, c’è chi vede nella scelta di Jeffrey Deitch alla guida del Moca (Museum of Contemporary Art) di Los Angeles il segnale di una maggiore mercificazione dell’arte sempre più legata al mercato e alle quotazioni rispetto che alla sua funzione culturale e sociale.
Di certo mai prima d’ora un gallerista è stato chiamato a soprintendere un grande museo; ma lui, Jeffrey Deitch, sembra pronto ad affrontare la nuova sfida che lo aspetta.
Dopo la laurea in storia dell’arte alla Wesleyan University e un Master of Business Administration ad Harvard, Deitch inizia la sua carriera come art advisor della City Bank; successivamente decide di mettersi in proprio e costruire una rete di clienti, galleristi e magnati dell’arte fino a metà degli anni ’90 quando apre due gallerie a Soho riunite sotto il nome di Deitch Project che diventano la vetrina di riferimento per l’avanguardia artistica newyorkese.
Negli anni il suo approccio di promozione e divulgazione sembra essere sempre meno assoggettato alle logiche del mercato e aperto al contrario a una maggiore ricerca e sperimentazione. Fanno parte della sua scuderia importanti personaggi dell’arte, come Vanessa Beecroft, e a lui si deve la celebre mostra Post Human con la quale ha dato un nome a un nuovo fenomeno espressivo che riguarda artisti come Dennis Adams, Damien Hirst, Kiki Smith, Jeff Wall.
Ma come arriva la nomina di direttore del Moca a un art advisor e dealer come lui?
Il museo californiano soffriva da tempo a causa della crisi finanziaria che ha coinvolto tutto il Paese e i consiglieri del Moca hanno allora pensato a qualcuno che potesse in qualche modo risollevarne le sorti grazie al suo spirito imprenditoriale e alle sue conoscenze.
Il mandato di cinque anni parte ufficialmente l’1 giugno, ma il suo lavoro è già chiaro: dovrà portare nuovi finanziatori al museo e spingere importanti collezionisti a prestare le loro opere per dare maggior rilievo al Moca. Per far questo Jeffrey Deitch è pronto a cedere le sue gallerie a Manhattan abbandonando il mercato dell’arte contemporanea e la ‘rappresentanza’ di alcuni artisti per dedicarsi esclusivamente al suo ruolo istituzionale.
I poli museali americani hanno una gestione molto diversa da quella italiana: sono a capitale privato e non statale come invece avviene nel nostro Paese. Per questo motivo un manager alla direzione di un grande museo negli Stati Uniti non stupisce, mentre sarebbe per noi un modello poco applicabile alla gestione delle Soprintendenze, sebbene in passato si sia dibattuto spesso sull’opportunità di replicare anche in Italia il modello americano, privatizzando i musei e forse garantendo loro un futuro diverso.
Ne abbiamo parlato con Gabriella Belli, direttore del Mart il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto e che negli ultimi anni è al primo posto tra i musei italiani per numero di visitatori ed è anche il più riconosciuto a livello internazionale.

Che cosa vuol dire dirigere un’istituzione come il Mart?
Significa prima di tutto avere una grande dote, quella dell’organizzazione, un requisito fondamentale per uno storico dell’arte, a mio parere. Poi è necessaria una capacità visionaria nella creazione di un programma culturale che possa essere attraente per il vasto pubblico ma anche per gli appassionati d’arte e che vogliono ricevere sempre nuovi stimoli.
Bisogna quindi non smettere di ascoltare e vedere cosa succede nel mondo per colmare le lacune nell’offerta culturale.

Come è arrivata alla direzione del Mart?
In questo muso sono cresciuta professionalmente fino alla direzione. Nel 1981 sono stata chiamata ad affiancare la direzione scientifica del Castello del Buonconsiglio e nell’82, in qualità di storico dell’arte contemporanea, mi è stato affidato il compito di attivare a Palazzo delle Albere il primo nucleo del museo d’arte moderna e contemporanea della Provincia Autonoma di Trento. Ufficialmente sono stata nominata direttore del nuovo Museo nel 1989 e sotto la mia direzione è stata inaugurata la nuova sede del Mart a Rovereto, progettata dall’architetto Mario Botta.

Qual è la parte più difficile del suo lavoro?
La fase della programmazione è sicuramente la fase più emozionante, mentre è più complessa la costruzione di rapporti con istituzioni internazionali per continui scambi e interazioni.

Come nasce l’idea di una mostra?
Leggo molto, cerco di essere il più possibile aggiornata su quanto fanno altri, non frequento vernissage, ma visito tantissime mostre. Spesso mi avvalgo del contribuito di qualcuno più geniale di me in grado di proporre un’idea innovativa percorrendo strade originali che magari non ha ancora intrapreso nessuno, o sviluppando tematiche assolutamente inedite con uno sguardo sempre attento a quello che succede oltreconfine.
Le mie idee migliori invece arrivano quasi sempre quando sono in ferie, lontana dal posto di lavoro: solo in quei momenti riesco a staccare e vedere oltre.

Quali sono gli obiettivi per il 2010? E la sfida che si propone di affrontare?
Dobbiamo prima di tutto mantenere la posizione di prestigio che siamo riusciti a guadagnare negli ultimi anni e, nello stesso tempo, continuare a crescere. Abbiamo raggiunto un numero altissimo di visitatori pari a 283.000 ma dobbiamo continuare ad avere grande visibilità e un maggior pubblico.

In che cosa il museo è un po’ debole?
Sicuramente nelle proposte di arte contemporanea. Siamo decisamente più forti nell’arte moderna, ma mi piacerebbe avere un rapporto permanente con il mondo contemporaneo e avere alcuni artisti residenti da promuovere, creare workshop su questo tema e offrire una proposta più vivace nell’ambito della creatività. Il nostro museo, ad esempio, è l’unico ad avere un archivio specialistico sull’arte del ‘900 e mi piacerebbe riuscire a realizzare la stessa cosa con l’arte contemporanea.

Si è mai sentita influenzata nella costruzione delle sue mostre da quello che succedeva nel mercato dell’arte?
Sinceramente no, anche perché in Italia i musei sono pubblici e quindi per noi la questione economica non ha una particolare rilevanza come invece avviene in un Paese come gli Stati Uniti.

A proposito di Stati Uniti cosa pensa della nomina di Jeffrey Deitch alla carica di direttore del Moca di Los Angeles?
La notizia non mi ha per niente scandalizzata. È una persona che da tantissimo lavora nel mondo dell’arte e quindi credo possa essere perfettamente in grado di gestire anche un’istituzione come il Moca. Per quanto riguarda poi la questione sollevata a proposito del conflitto di interessi sono sicura che il problema non sussisterà: in America sono molto sensibili su questo argomento.

In che cosa si differenziano maggiormente i musei americani da quelli italiani?
Le istituzioni europee e quelle italiane vedono la cultura come bene sociale, capace di aiutare la crescita culturale di un popolo. Noi non abbiamo l’obbligo di doverci costantemente confrontare con le dinamiche del mercato.
La nostra è una visione più nobile abbiamo solo obbiettivi puramente culturali e non di speculazione. Questo però può anche portare a una fossilizzazione dell’offerta espositiva dei musei cosa che in parte a volte avviene già.
Le realtà americane sono gestite da privati e possono avere quindi più capitali da investire in proposte innovative e totalmente all’avanguardia. Personalmente ritengo che le due nature possano essere conciliabili e mi auguro che le future generazioni di direttori possano anche tradurre in pratica questa idea.

di Benedetta Bagni

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