Sergio Dangelo racconta se stesso

stART & go
17 aprile 2013

“Fare il pittore è molto facile, basta leggere tanto e frequentare qualche locale”. Sono parole curiose, che colpiscono estremamente se pronunciate da un artista di fama internazionale.

Deflagration d’herbe

Sergio Dangelo, invitato dal Professore di Storia dell’arte contemporanea Francesco Tedeschi, parla di sé agli studenti dell’Università Cattolica di Milano. Milanese e cosmopolita, classe 1932, l’artista ha un approccio bizzarro ed esuberante, che certo attira l’attenzione. “Non c’è niente da fare”, incalza subito, “per conoscere davvero l’arte non basta visitare le mostre né studiare: bisogna frequentare i bar, i locali, dove gli artisti passano il proprio tempo. L’arte oggi si nutre di discussioni, dibattiti, confronti, di cui bisogna essere a conoscenza se la si vuole davvero capire”.

Una concezione, questa, che ha caratterizzato fin dagli esordi la sua vita artistica: a partire dal primo grande giro d’Europa, compiuto a vent’anni con pochissimi mezzi economici, che l’ha portato a intessere una rete di contatti e relazioni destinata a permanere nel tempo. In pochi mesi, Dangelo aveva conosciuto i maggiori artisti del secolo, primi tra tutti i surrealisti, che lo influenzeranno nella sua concezione pittorica. “Il migliore di tutti? Max Ernst. Senza dubbio il più grande pittore e scultore del Novecento. Mi stimava, tanto che arrivò a dire dei miei quadri: queste sono le opere che farei io se avessi la tua età”.

Manifesto del Movimento Nucleare, 1952

Sono toni dissacranti e giocosi, quelli con cui Dangelo racconta la nascita del Movimento Nucleare, fondato da lui nel ’51 assieme a Enrico Baj: “Il nostro Manifesto? È stato lo scherzo di un avvocato di nome Enrico Baj e di altri dilettanti come me che avevano deciso di fare qualcosa per l’arte. Bisognava essere molto sciocchi e molto divertiti per fare una cosa del genere”. Ma avverte anche: “Se il Manifesto può apparire oggi un po’ sempliciotto, certo è che portò a produrre lavori validissimi”. Lavori che Dangelo rifiuta di chiamare opere: “Io preferisco chiamarle cose”. Cose, dunque, che nel giro di poco tempo acquisivano fama in tutta Europa. Anche perché, come spiega Dangelo, “noi nucleari abbiamo utilizzato una tecnica mai vista prima: dipingevamo esclusivamente con smalti industriali, che rendono i quadri limpidissimi anche a distanza di anni, a dispetto della tempera a olio che tende a scurire”. Dangelo ne illustra qualcuno, e scherza (o forse no?) un po’ su tutto: così La pluie, le beau temps nasce perché “avevo dello smalto grigio che mi avanzava e non sapevo che cosa farne” e Der apfel ist gefallen si chiama così perché “mi piacevano i titoli in tedesco”. Deflagration d’herbe “è stata osannata per il suo dinamismo, ma io non ce lo vedo mica. Voi sì?”. Quel che è certo è che nei suoi lavori, carichi di suggestioni surrealiste e così diversi tra loro, lo sperimentalismo è continuo, e audace.

Ed è molto serio, Sergio Dangelo, quando deve parlare della coscienza artistica italiana: “il Surrealismo in Italia non è passato, non passa e non passerà”. L’accusa è forte: “Perdiamo tempo e denaro per far stare insieme pezzi di roba antica, ma abbiamo troppa paura di rinnovare e investire sul futuro”.

  • Chiara Martinoli 

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