Il cibo genuino degli anni ’70

Taste by Taste
05 settembre 2013

C’è chi ha ammirato soprattutto i suoi libri di narrativa, come America primo amore. E c’è chi ha apprezzato in particolare la sua opera di regista cinematografico (Piccolo mondo antico, I Malombra, La provinciale). Ma Mario Soldati ha anche dedicato splendide pagine su pagine al mondo del vino e del cibo.

Silverio Novelli, che è giornalista e a sua volta scrittore, ha raccolto queste pagine nel libro Da leccarsi i baffi (DeriveApprodi). La recensione del libro è su Leifoodie. Mentre qui, volevo riportare parte della chiacchierata fatta con Novelli per la realizzazione della recensione…

Qualcuno ha detto che con Soldati nasce il giornalismo enogastronomico: è d’accordo?
Sì, credo che lo stesso Soldati, regista – a suo dire – per “necessità alimentari” e scrittore per intima vocazione, sarebbe lieto di considerarsi anche un giornalista e, in particolare, un giornalista di viaggi e di assaggi. In questo campo, un pioniere insuperato.

In quali anni Soldati ha prodotto gli scritti raccolti in ‘Da leccarsi i baffi’?
Tutta la vita di scrittore e giornalista di Soldati vi è rappresentata. Si parte dalla metà degli anni Trenta del Novecento e si arriva alla metà degli anni Settanta. Gli scritti sono stati tratti soprattutto dal romanzo autobiografico America primo amore e dalle pagine diaristiche di Un prato di papaveri e di Specchio inclinato, oltre che dal volume Vino al vino.

Le ‘avventure’ narrate da Soldati si svolgono spesso all’osteria. Cosa rappresenta l’osteria per lui?
È la genuinità famigliare e contadina del cibo fatto in casa e del vino pestato coi piedi. È l’accoglienza rustica e insieme socievole che l’oste riserva al cittadino in cerca di ossigenazione mentale, desideroso di un ricovero psicologico dagli affanni della società urbana che, nel pieno del boom economico, si vanno facendo pesanti.

Mi citi uno tra i tanti personaggi che Soldati delinea in questi scritti. Uno che le è rimasto impresso.
Il Duca di Solimena del romanzo autobiografico America primo amore, il vecchio elegante siciliano, nobile di casata, che commercia in granaglie negli Stati Uniti – siamo negli anni Venti e Trenta del Novecento. Elegante e compito, parla solo dialetto e francese, ma mangia con gusto ravioli, bistecche e patate fritte, mentre centellina vino da «una minuscola bottiglia da un decilitro». Il giovane scrittore lo incontra in una “Soldati’s spaghetti italian house” di Chicago, in cui si è recato attratto dall’omonimia. Da lì escono brilli e solidali: ma il vecchio è vedovo, solo e di fatto povero, e, dopo i saluti di congedo all’insegna del viva l’Italia!, si allontana nella neve «col cappotto lungo e a vita, il cappello duro, schiena dritta, passo marziale».

Oggi si parla tanto di ritorno al cibo genuino e della tradizione. Ma Soldati ne parlava già negli anni ’70…
La sua era l’epoca del prima. Negli anni Sessanta e inizi Settanta, quando Soldati gira infaticabile per l’Italia, preso in una sorta di trance vitalistica, alla ricerca del cibo e del vino genuino, siamo alla fine di un’epoca: l’artigianale sta per cedere definitivamente il posto al mass market alimentare, di lì in poi cambieranno gusti e abitudini. Soldati è l’ultimo rappresentante e l’ultimo cantore di una civiltà al tramonto. Oggi, siamo nell’epoca del dopo. Il “genuino” è diventato un fatto di nicchia, un lusso della mente e, spesso, del portafogli. È l’epoca del consumismo di massa e degli standard di qualità omologanti, ad alto rischio di contraffazione e di insalubrità. Tutto ciò che evoca la genuinità è benvenuto. Tanto più se è a disposizione di tutti, tra le pagine di uno scrittore della forza di Mario Soldati.

Simona Carletti
@SimonaScarlett

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