È forse il nome più noto e protetto al mondo e difende non uno, bensì 9.700 prodotti. Tutti diversi, tutti con la propria anima e la propria storia. Sembra impossibile eppure…
La parola Champagne, pronunciata a Milano, come a Rejkyavik, a Cape Town come a Ushuaia, evoca universalmente e contemporaneamente un prodotto (spumante, francese, buono, costoso) e un’idea (festa, ricchezza, vittoria, gioia), come poche altre parole, o forse nessuna. Eppure pensiamo a questi numeri: 4.500 produttori, 9.700 etichette registrate e attive, oltre 30.000 ettari di vigneto, 319 comuni, 15.000 vigneron, 281.000 particelle, migliaia di differenti vinificazioni, infinite possibilità di assemblaggio.
E qualcuno parla ancora di Champagne?
Mettiamocelo bene in testa, se vogliamo capire lo Champagne, se amiamo questo vino leggendario, dobbiamo rassegnarci al fatto che lo Champagne non esiste. Esistono migliaia di vini spumanti, prodotti in una zona ben delimitata, con un metodo rigorosamente codificato, tutti profondamente diversi tra loro, e nessun punto di riferimento, nessuno Champagne ideale. Questa è la fantastica forza della bollicina d’oltralpe: rappresentare un sistema dove unità e diversità trovano un perfetto equilibrio. Dove ogni persona, ogni cibo, ogni occasione della vita, troverà la bottiglia ideale tra le 9.700. Un mondo dove, quasi utopisticamente, non esiste il “migliore”, dove essere il più costoso significa poco, dove essere invecchiato non è sempre meglio che essere giovane, dove quasi mai il brand, il marchio ha la meglio sulla qualità, dove il bene comune è al di sopra degli interessi individuali, dove girano tanti soldi ma mai a sproposito, dove il mito non è stato costruito solo dai francesi.
Insomma una realtà affascinante da frequentare e studiare, ne abbiamo solo scalfito la superficie, ma in realtà ogni cru, ogni maison, ogni vigneron, ha qualcosa di interessante e di esclusivo da aggiungere. Nel mio lavoro mi sono accorto di un fatto curioso. Difficilmente le persone hanno una memoria gustativa sviluppata; in poche parole se assaggio un vino e mi piace, difficilmente lo riconoscerò riassaggiandolo a distanza di tempo. Pochissimi hanno, per esempio, un Chianti, un Barolo, un Sauvignon preferito, che riconoscono e cercano.
Con lo Champagne cambia tutto. Persone con poca o nulla competenza enoica riconoscono il loro Champagne preferito, vogliono quello e si accorgono se gliene viene servito un altro. Cosa incredibile, sanno anche spiegare perché gli piace (è morbido, acido, bel perlage, complesso, leggero…) mentre per altri vini è molto più raro, difficilmente si va al di là di un: “è buono!”
Sembra che lo Champagne sia in grado di comunicare meglio con chi lo beve, come se riuscisse a trovare un canale privilegiato per arrivare ai sensi passando attraverso il cervello.Ecco a cosa servono tutti i numeri che abbiamo dato all’inizio. A creare questa potente forza che regala personalità, diversità, riconoscibilità allo Champagne e ci aiuta ad essere consapevoli di ciò che beviamo.
Ripeto quindi, lo Champagne non esiste, è solo un’idea, un concetto.
Esistono GLI Champagne, l’universo di vini che, grazie a questa alchimia tra persone, terreno e clima, regala a ognuno di noi il gusto di scoprire sempre qualcosa di nuovo.
Gaber cantava che un’idea è solo un’astrazione e poter mangiare un’idea sarebbe rivoluzione, bene, forse non possiamo mangiarla, ma berla si, e non è rivoluzione da poco. Amare lo Champagne non significa parteggiare per i vini francesi, e tanto meno sminuire le italiche bollicine. Amare lo Champagne è una strada panoramica per viaggiare attraverso il mondo del vino in generale, per sentire ancora prima di conoscere. E per divertirsi davvero.
di Marco Chiesa