Un’impresa di famiglia che passa di mano, ma resta in casa; che cresce pur non perdendo di vista l’idea originale; che guarda gli altri solo per fare meglio. Può esistere in Italia?
Dovrebbe scorrere nelle vene di tutti i figli, quanto meno di quelli che hanno avuto la fortuna di avere grandi imprenditori come padri. Eppure spesso non è così. La voglia di crescere, di fare di più, di dimostrare di essere all’altezza è una cosa rara, almeno in Italia. Ci si siede sulle glorie (e sugli utili) pensando che in fondo si potrà vivere bene – molto bene – lo stesso. Come dar loro torto? Vorrebbero farlo in tanti lo stesso pensiero! Il cambio generazionale non è tuttavia un problema da poco, specie nel nostro paese: terra ricca di persone geniali, uomini e donne che sono stati capaci di creare dal nulla fortune inestimabili, imperi che resisteranno negli anni a venire, sempre che qualcuno non le faccia crollare prima. Ecco allora i dubbi e i timori che le nuove generazioni non sappiano fare altrettanto, sperperino e annientino quanto costruito con fatica. La soluzione è facile: lasciarli vivere in una bambagia dove non possano fare ‘danni’, ma solo godersi la vita. Forse. O forse – molto più probabilmente – è un insieme dei due fattori che a conti fatti oggi rende molto diffuso lo stereotipo del figlio di papà ‘bravo a nulla’. Succede un po’ ovunque, non esistono regioni in Italia più o meno colpite, quindi stupisce quando per caso ci si trova di fronte al contrario. E stupisce ancora di più quando questo contrario è in un settore, la ristorazione di qualità, dove storicamente interessa più quello che viene scritto nel menu che quello che invece sta scritto in bilancio. Sappiamo fare grandi cose ai fornelli, lo facciamo per tradizione, quasi da sempre, ma quante volte questo saper fare si è confrontato con i numeri, ha registrato quei risultati che in qualunque altra azienda sarebbero fondamentali?
Siamo in un periodo di crisi – così riportano i colleghi da mesi – e se c’è un settore che sta soffrendo questo è proprio quello della ristorazione di alta gamma: è una delle spese che qualunque azienda taglia prima di qualunque altra. Male, verrebbe da pensare: non credo.
E’ facile sedersi su quanto fatto in passato, godere dei risultati – spesso addirittura generati da altri – e, perché no, anche approfittarne un pochino. In fondo lo hanno fatto in tanti. E quando la terra trema gridare alla crisi. Troppo facile.
Quanti hanno provato a ripensare al proprio lavoro, a guardare intorno cosa stava succedendo, a provare ad anticipare quello che sarebbe potuto cambiare anche solo in termini di aspettative da parte di un pubblico che comunque cambia? Pochi e ancora di meno tra le cosiddette ‘giovani leve’.
“Per questo abbiamo voluto ricominciare tutto da capo”, spiega Raffaele Alajmo, oggi amministratore delegato della In.gredienti Srl. Nata nel 2009 per dividere le proprietà immobiliari detenute dalla Interland – la società di famiglia – dalle attività di ristorazione vera e propria, In.gredienti è oggi al 50% nelle mani della stessa Interland e per il restante 50% dei tre fratelli Alajmo, Raffaele, Massimiliano e Laura.
“Ci è voluto un gesto forte come quello di papà che nel 1994 ci ha dato le ‘chiavi’ dell’attività – che già vantava una stella Michelin – e ci ha detto: ‘ora tocca a voi’”, ammette Raffaele, “ma forse gli avevamo dimostrato che volevamo e potevamo fare di più. Oggi speriamo di non averlo deluso”. Di fatto mamma e papà non hanno abbandonato i figli, ma solo in termini di ‘solidarietà’: Rita, grande pasticcera, segue la produzione dolce del Calandrino, mentre Erminio – presidente del gruppo – coordina l’intera attività de La Montecchia, a Selvazzano Dentro.
“Sono stati 15 anni intensi, dove ci siamo messi alla prova, abbiamo guardato il mercato e allo stesso tempo ci siamo guardati all’interno per capire cosa funzionava, cosa andava migliorato, cosa avrebbe potuto farci crescere”, continua Raffaele. “Ciascuno ha sempre avuto il suo ruolo: io in cucina al ristorante Le Calandre – il mio vero laboratorio – ma anche al Calandrino e alla Montecchia, oltre che in negozio per seguire la nuova linea di prodotti in vendita anche in altri punti in Italia”, spiega Massimiliano; “Raffaele alla parte commerciale e finanziaria, Laura alla comunicazione e marketing perché anche il marchio e quanto ci ruota intorno hanno avuto un ruolo molto importante nel consolidamento dell’attività”.
“Ampliare l’offerta di un ristorante stellato non è stato facile:” continua Raffaele” Il Calandrino è un concetto abbastanza diffuso oggi, ma non nell’area in cui ci troviamo noi, poco centrale rispetto a Padova; il negozio è stata quasi una scelta obbligata, ma oggi i prodotti alimentari e non (piatti e bicchieri) ci permettono di far conoscere il nome anche a un pubblico diverso, che forse non verrebbe mai a cena in un ristorante 3 stelle Michelin. Insomma abbiamo capito che creare un ‘sistema gastronomico’ capace di autoalimentarsi avrebbe potuto farci diventare ancora più grandi: ciascun pezzo continua a conservare la sua peculiarità, ma tutti insieme contribuiscono a sviluppare il concetto”.
Difficile però continuare a farlo in un momento di contrazione come quello attuale, verrebbe da pensare… “Forse, ma noi abbiamo sempre reinvestito gli utili nella società per non fermarci, per non smettere di pensare. Ne è un esempio la completa ristrutturazione che abbiamo fatto del ristorante proprio nel 2009, con riapertura ufficiale a gennaio 2010: questa andrebbe chiamata sfida! Non posso negare di aver avuto come tutti un calo nel giro d’affari, che ad oggi si aggira sui 4,5 milioni di euro, ma la filosofia dei piatti che uscivano dalle mani di Massimiliano era lontana anni luce dall’atmosfera che si respirava in sala e la gente se ne rendeva conto. Tutte le parti di una macchina dovrebbero funzionare nello stesso modo, anche se questo comporta sforzi all’inizio: siamo certi che i risultati arriveranno presto”. I prossimi passi? “Certamente migliorare il nostro posizionamento all’estero: lo stiamo facendo con internet, studiando soluzioni sempre più all’avanguardia nella comunicazione online, ma anche valutando nuove opzioni di crescita. Abbiamo studiato parecchio negli ultimi mesi, soprattutto le aziende più dinamiche in Europa – Gran Bretagna e Francia – e abbiamo deciso di intraprendere una nuova strada. Quale non possiamo ancora comunicarlo, ma ci auguriamo che mamma e papà ne possano essere fieri!”.
di Barbara Carbone