ELEGANZA, NON FREDDEZZA

estero | materiali
17 maggio 2012

Stoccolma è la meta di un nuovo turismo culturale portato dal design locale che giova molto all’economia svedese. Una crescita voluta e raggiunta grazie a piani di sviluppo condivisi e ben strutturati. E a una tradizione che viene da lontano.

Linee sobrie, funzionalità, materiali naturali, colori chiari: si pensa al design scandinavo e automaticamente si evocano mobili in legno di abete o betulla senza fronzoli e capaci di risolvere mille necessità in uno spazio ridottissimo. Più spesso si pensa a Ikea, ai moduli componibili, ai prezzi bassi. L’associazione di idee non è impropria, ovviamente. Il funzionalismo del design scandinavo, quello che proclamava la “Bellezza per tutti”, ha fatto scuola tra gli anni ’20 e ’50 e i frutti di quell’imprinting si vedono ancora oggi. Ma l’origine di quello stile è più lontana e nobile, nel vero senso della parola. Si deve a Gustavo III, che regnò in Svezia nel Settecento, nel cosiddetto periodo della grandezza, una quasi maniacale attenzione verso l’eleganza degli ambienti mutuata prima dai viaggi presso le corti francesi e inglesi, poi presso quelle italiane. Mutuata, ma non copiata. Lo stile di Gustaf III si nutre di bellezza neoclassica europea, interiorizzata al punto da poter essere elaborata secondo canoni autonomi. La purezza, la sobrietà, l’ampiezza degli spazi avranno in questo periodo – e nei secoli a venire – un minimo comune denominatore: la luce. La luce che solo chi abita a quelle latitudini costrette per tanta parte dell’anno al buo e all’ombra, può apprezzare fino in fondo. Ecco allora la voglia di stemperare nel bianco quelle ombre e quelle oscurità. Chiari i pavimenti di legno, chiari i mobili, bianchi e lisci i decori, candide le pareti su cui – quasi come bassorilievi – si posano decorazioni floreali, grandi tende di lino decorato e specchi – di nuovo ad amplificare la luce. Uno stile che venne rimpiazzato alla sua morte dalla Principessa Désiré, che gli succedette e che importò da Parigi il colorato e opulento stile Impero. Ma durò poco. La rinascita dello stile gustafiano – o semplicemente “svedese”? – si ebbe tra la fine del 19esimo e l’inizio del 20esimo secolo.

Fu la filosofa ed educatrice Ellen Key (1849-1926) a parlare per prima di Skonhet for alla (bellezza per tutti) in un pamphlet distribuito durante l’esposizione internazionale di Stoccolma nel 1897, anticipata di qualche anno  da Nils Manson Mandelgren (1813-1899), fondatore di Svensk Form, Società svedese dei mestieri e del Design. Era infatti convinzione di Mandelgren che gli svedesi non potessero dipendere dai gusti degli altri e dovessero arrangiarsi per fare tutto ciò che occorresse loro nella vita quotidiana. Missione compiuta, verrebbe da dire. Non a caso, il claim della Svensk Form recita “better life through good design”. E non a caso la Svezia registra uno dei tassi di occupazione nel settore delle industrie creative più alti al mondo: il 12,9% ovvero quasi 150.000 persone. Un mercato culturale enorme, che attrae turisti, creando nuovo indotto, ed è capace di reinventarsi. Come ha fatto Ericsson, che oggi – oltre a telefonini – produce creatività.

di Benedetta Bagni

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