Uno sguardo allo stile di Guido Profumo e alla profondità della sua pittura che, a un primo impatto, appare “ferita”. Un percorso di ricerca da seguire tra le sale della mostra Tracce e segni di questo tempo.
In occasione della mostra, in programma dal 2 al 16 marzo presso la Baccaro Art Gallery di Pagani (Sa), Guido Profumo racconta, in una prima parte d’intervista, il vero fulcro dal quale scaturisce la sua pittura. Tracce e segni di questo tempo è un esempio concreto di come la crisi del nostro tempo stia portando a una ricerca di felicità, un vortice fatto di domande, indagini e risposte a uno stile di vita carente di etica e morale. “Stiamo vivendo in un’epoca di compromessi,” – dichiara l’artista – “senza riuscire, potere e sapere trovare soluzioni di fuga. Solo una linea di pittura colata si allontana dal vortice ed esce dalla tela: ecco la via da seguire”.
Dalla carriera di manager a quella di artista: come mai questa netta trasformazione?
Siamo di fronte (forse) al mio più assoluto cambiamento. Ho sempre vissuto la mia vita e la mia carriera professionale con grande intensità, con una ricerca costante e continua di stimoli, novità, spunti da interpretare e plasmare, ovviamente senza tralasciare i luoghi, le persone e la necessità di affrontare intriganti avventure. Penso che siano tutti questi motivi ad avermi traghettato verso l’Arte…
Mi definiscono un animo irrequieto, sempre disposto a lasciare aperta la finestra della riflessione: è da lì che arrivano i sogni, la materia prima che spetta a noi trasformare in realtà. Credo che il mio caro amico Maurizio Sentieri, autore della Prefazione del mio catalogo di opere, abbia centrato in pieno il concetto, descrivendomi come in un continuo errare: “Chi è irrequieto si pone sempre molte domande… che non sono solo quelle della vita quotidiana e materiale. È proprio allora che, nel cercare possibili risposte, possiamo sbattere su cose (chiamiamole cultura o forme di cultura) fino a quel momento inaspettate”.
Come molti grandi artisti, anche tu hai trovato un luogo eletto in un’isola, nel tuo caso quella di Minorca. Cosa trovi di magico nell’isola spagnola?
Probabilmente certi luoghi, in un momento specifico della vita, possono suscitare nuove emozioni e far scattare quella “magia” che supporta la metamorfosi dei sogni e la necessità di esprimerli. Minorca per la sua semplicità, per la sua naturale, cruda e violenta bellezza mi ha incantato. È qui che amo dipingere… è un luogo che mi completa.
La pittura di Guido Profumo, dal suo esordio, ha già subito un’evoluzione nei soggetti rappresentati e nello stile. Quali sono i tratti imprescindibili di questo “transitare”?
Credo che l’evoluzione sia parte integrante di ogni percorso. Chi “rimane fermo” ha un approccio parziale verso ciò che gli sta attorno. In aggiunta, chi ha la bramosia di scoprire, nutre la necessità martellante di “far propria” ogni esperienza e ogni sentire, materiale o immateriale che sia. Ritengo che nell’Arte l’analisi continua sia alla base di tutto, lo zoccolo duro di un cammino nel quale convivono ispirazione e appagamento nel produrre. L’Arte è un moto perpetuo di studio e ricerca. Lo vivo ogni giorno sulla mia pelle ed è per questo motivo che ho spostato il mio “fare pittura” da un’iniziale visione legata al mondo del gioco e della quotidianità a un sentire più profondo e intrinseco.
Il tuo stile è definito “duro e graffiante”, i colori vengono quasi feriti e lacerati per far intravedere le tracce che ci celano sotto un primo strato. Tutto ciò sembra seguire il motto michelangiolesco secondo il quale “la scultura si fa per via di levare“. È stata una decisione voluta o un qualcosa che nasce dall’estro dell’artista?
Forse l’idea di togliere e semplificare può definirsi, in un certo senso, classica. Steiner diceva che “Secondo l‘intuizione, classica è quell’opera che, attraverso l’esperienza estetica, riesce a parlare all’uomo indipendentemente dalle circostanze in cui egli vive”
Il sottrarre è una mia decisione pittorica, così come la scelta del materiale ligneo che si presta meglio per questo genere di lavorazione oltre a essere più “puro”. È un gioco a più livelli di colori, prima nascosti e poi fatti riaffiorare. Il materiale pittorico di risulta non si butta ma viene riproposto in modo casuale sull’opera.
di Maddalena Baldini
Foto di Ester Accornero