Taciturno, morbido e capace di mantenere i segreti

DIRE.FARE.CREARE
21 gennaio 2014

Che cosa chiedono i bambini ai peluche? Bisognerebbe essere ancora piccoli per poter rispondere, perché la razionalità adulta fa tristemente scomparire tutte le sensazioni e i sogni di quando eravamo bambini. Con un grande sforzo di memoria e un feroce calcio alla logicità di azioni e pensieri, ricordo di non essere mai stata una grande fan dei peluche.
Ed eccezione, perché c’è sempre un’eccezione, degli orsetti, per i quali, sebbene sotto forma reale e feroce, nutro tuttora una smisurata passione.

L’orsetto ideale ha principalmente due sembianze e/o atteggiamenti: Winnie the Pooh (dolce e ingenuo) o Yoghi (presuntuoso e fintamente accorto).
Chiaramente i miei favori sono sempre andati al secondo…
Certo, qualunque sia stato il nostro favorito, ha poco a che fare con le moderne versioni dei peluche. Senza scadere nel Ted cinamatografico, talmente volgare e sopra le righe da non suscitare nemmeno una preoccupazione quando era in fin di vita, certo non somiglia a Supertoy, l’orsetto robot ideato in Inghilterra di cui sono stati prodotti i primi 300 esemplari, capace di parlare fino a 30 lingue e rispondere a domande complesse.

Ma nemmeno a Dilius del designer Bruno Oro de Abreu. Questo orsetto high tech si collega a Internet tramite bluetooth e possiede un display olografico che consente ai bambini di giocare online e comunicare con chi possiede peluche simili.
E tanto meno a Teddy the Guardian, apparentemente innocuo peluche, ma in realtà attento ‘spione’ creato da Josipa Majic ed Ana Burica. Attraverso i sensori, l’amico dei più piccoli trasmette il battito cardiaco, la temperatura, la saturazione dell’ossigeno e (aiuto!) i livelli di stress a tablet e smartphone di apprensivi genitori. Oltre, ovviamente, a possedere un microfono e un altoparlante.

Interessanti, certo. Ma grazie, mi tengo l’irriverente e talvolta sciocco Yoghi. E immagino di sfuggire ai ranger di tutti parchi.

 

Simona Scibilia

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