Tette e birra

Taste by Taste
28 dicembre 2013

Frank Zappa

Frank Zappa scrisse la canzone Titties and Beer per prendere in giro l’americano medio, che nella vita aveva solo due certezze: le tette e la birra, appunto. Era il 1976 e la birra veniva identificata, alla bell’e meglio, come un liquido giallo, alcolico e dissetante, da bere preferibilmente tra maschi, ma anche da soli, stravaccati sul divano, tipo Homer Simpson. Il suo status era di poco superiore a quello di una bibita gassata. L’idea di associare la parola ‘birra’ alla parola ‘qualità’  non sfiorava le menti di nessuno. ‘Qualità’ era un termine che andava a braccetto solo col vino.

Poi però…

Cominciarono a spuntare i primi birrifici artigianali. E questi birrifici attirarono su di sé l’attenzione, perché il loro ‘liquido giallo’ non era lo stesso che veniva prodotto dai grandi marchi che lavoravano a livello industriale. La birra artigianale – questa è la grande differenza con quella  industriale – non era pastorizzata e di conseguenza era ‘viva’, e mai uguale alle altre.

In Italia, la rivoluzione copernicana attuata dai birrifici artigianali, arrivò dopo rispetto all’America e rispetto ai Paesi del Nord Europa. Nel nostro paese, negli anni ’70, la birra difficilmente arrivava in casa sulle tavole: meglio un bicchiere di vino, anche se di scarsa qualità. Il ‘liquido giallo’ si consumava più che altro nei locali e più che altro in bottiglia (la birra alla spina, nel Belpaese arriverà solo alla fine dei ’70). Era birra industriale (Ceres, Beck’s…), chiara, lager, spesso tedesca.

Tra i birrifici che qui da noi contribuirono a innalzare le quotazioni della birra c’è Le Baladin, di Teo Musso a Piozzo, in provincia di Cuneo. Per conoscerne la storia, è uscito per Feltrinelli Serie Bianca il libro Baladin. La birra artigianale è tutta colpa di Teo, scritto da Marco Drago con lo stesso Musso. Il libro, scorrevolissimo, spiega quanto sia stato impegnativo il lavoro dei pionieri della birra artigianale.

Intorno agli anni ’90, mentre noialtri ce ne stavamo ad ascoltare il grunge e a piangere i problemi della nostra generazione, Musso si rimboccava le maniche e decideva di produrre la birra da sé, nella cantina del proprio locale (noto già per le sue birre selezionate importate dall’estero). Non fu un processo semplice. Prima di tutto perché Le Baladin sorgeva a Piozzo, ovvero nelle langhe, ovvero in terra di vino. E poi c’era la necessità di costruire un impianto, c’era la burocrazia, c’era da farsi conoscere.

Non fu facile, ma fu un successo. Sia per Musso, sia per la birra artigianale italiana in genere. Basti pensare che tra le altre cose, Musso, insieme ad altri soci, ha inaugurato Birreria: un locale dedicato alla birra artigianale italiana nientemeno che nel cuore di New York.  E oggi, tutta la birra artigianale italiana può essere inserita tra le migliori in circolazione (almeno stando ai premi che riceve).

Nel 1996, quando Musso ha dato il là alla sua avventura, c’erano sette birrifici artigianali in Italia. Oggi ce ne sono  450.

Simona Carletti
@SimonaScarlett

Matterino “Teo” Musso

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