Will Kommen: il punto di vista di Habicher

stART & go
21 marzo 2015

Al via da pochi giorni la mostra personale dell’artista altoatesino Eduard Habicher presso la Galleria Melesi di Lecco. Will Kommen non è solo il titolo dell’esposizione, ma un programma artistico e un impegno da cui Habicher non vuole sottrarsi. Lo abbiamo intervistato per conoscere il suo lavoro.

Che cosa si nasconde dietro il titolo della mostra? E perché in lingua tedesca?
La lingua tedesca rispecchia in parte le mie origini: ho sempre considerato un privilegio essere nato e cresciuto in Alto Adige, in una cultura bilingue, con possibilità di contatti sia verso il mondo culturale di oltralpe che verso quello italiano.
Il titolo della mostra Will kommen (cioè “willkommen”, benvenuto) è anche il titolo della mia installazione permanente realizzata davanti all’ingresso della galleria. E’ una scultura che ricorda due ali aperte, un modo per dare un accogliente benvenuto al visitatore. “Will kommen” è inoltre un gioco di parole: “aprendo” la parola si rivelano altri sensi: will kommen significa anche (lui/lei) vuole venire.

Le opere in mostra trasmettono un forte senso di fragilità: da cosa scaturisce questo sentimento?
Uno degli aspetti che saltano all’ occhio osservando le opere della mostra è che appaiono giocate su un equilibrio precario. Questo riflette la condizione umana: sempre in equilibrio sospeso… quasi scivola, si ferma prima del precipizio, grazie a un ancoraggio qualsiasi. La speculazione, come ipotesi pura, si avvicina alle nuove frontiere della scienza; si aprono nuovi orizzonti in relazione a tutto quello su cui si può riflettere: tempo e spazio non sono più separati in maniera netta, ma amplificati e fluidi.
Ecco allora che l’uomo perde la sicurezza delle conoscenze acquisite, ed è costretto ad accettare il rischio dell’avventura spirituale, si spalancano spazi di libertà e campi di sperimentazione.
La mancanza di sicurezza assoluta permea tutto: tutto è precario e contemporaneamente tutto diventa possibile. La realtà stessa è insicura, è possibilità degli accadimenti.

Le sue opere dialogano sempre con lo spazio che le ospita: in che modo l’ambiente circostante può influenzare le sue sculture?
Il dialogo della scultura con l’architettura scaturisce da momenti di riflessione su concetti come spazio costruito, spazio naturale e spazio in movimento aperto. Le basi stesse di una certa architettura basata sul credo razionale, espresso tramite l’attuazione rigorosa delle coordinate spaziali ortogonali, viene qui messa in discussione e ribaltata.
La scultura come stimolo, dunque, che si tuffa nello spazio e porta l’intercapedine a vibrare. Questo procedere, che dà la prevalenza al togliere più che al riempire, mira ad attivare lo spazio vuoto. Entra nello spazio vitale fisico e psichico dell’osservatore ed entra così in contatto con lui. La scultura diventa una linea di energia nello spazio. Il metallo si smaterializza dando leggerezza al lavoro. Materiale industriale amorfo si trasforma in materia viva e vissuta.
Nello spazio vuoto, o in relazione con quello architettonico, nascono volumi virtuali, nei quali il fruitore si può immergere.
Il vuoto e il nulla occupano un ruolo importante nella mia ricerca. L’opera crea uno spazio intorno a sé, che delimita ma non chiude. L’ombra proiettata sul muro possiede una propria corporeità, ma resta nel contempo inafferrabile come una costruzione mentale.

Fino al 9 Maggio 2015
GALLERIA MELESI
via Mascari 54, Lecco
www.galleriamelesi.com
info@galleriamelesi.com

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