La fotografa Rosetta Messori è in mostra al Macs, all’interno della rassegna Rosso-Messori. Noi abbiamo colto l’occasione per intervistarla.

Nasce a Modena, ma vive e lavora a Roma. Dopo una formativa e determinante esperienza nel cinema, collabora con la FAO per una serie di progetti finalizzati alla documentazione e al reportage nell’area del Mediterraneo e del Medio Oriente.  Frequenta il corso di fotografia del professor  Victor Ugo Contino presso l’Accademia di belle Arti di Roma, per poi parte per New York, dove si inaugura il suo percorso espositivo, che la porta oggi a Milano, dove per tutto il mese di gennaio potrete vedere di persona alcune tra le sue opere più importanti nella galleria Macs di via Tortona.

Partiamo dall’inizio: qual è stato il momento in cui si è avvicinata alla fotografia?
Nel 1988 sono partita per New York, avevo 28 anni. La Grande Mela è stata un po’ un banco di prova, sia per quell’energia che c’è nell’aria sia per tutto quello che vedevo, con tutto il suo impatto fortemente emotivo. Quindi oltre ai corsi e a frequentare le gallerie e studi di artisti affermati come Ralph Gibson, ho iniziato a cimentarmi in una prima idea di ricerca, lavorando proprio sul concetto di movimento. Da lì sono partita con la mia prima mostra fotografica e oggi sono qui.

Lei ha avuto anche un’esperienza nel cinema. In che modo l’ha influenzata?
Il cinema prima di tutto è magia. Magica la ricostruzione degli ambienti e magica l’esperienza di lavorare con i maestri e direttori della luce, come Giuseppe Bertolucci, Peter Del Monte, Cristina Comencini, Giuseppe Ferrara e Pasquale Squitieri. In questa circostanza ho imparato a costruire ambienti attraverso la luce, che veniva lavorata e diveniva l’elemento magico per antonomasia.

Da quale corrente artistica si sente più ispirata?
Guardo al manifesto del Fotodinamismo Futurista di Anton Giulio Bragaglia. Da qui ho iniziato a lavorare sulla traccia energetica del movimento, quindi non il movimento nel senso lineare del tempo, ma un movimento che si rigenera da se stesso, circolare, che restituisce l’effetto rigenerante del movimento stesso. Sempre attraverso il mezzo fotografico analogico, ho sviluppato una ricerca artistica sulla relazione tra spazio, tempo ed energia, intesa come quarta dimensione. Proprio in riferimento a questo vorrei citare colui che è stato per me grande fonte di ispirazione: il regista polacco Zbig Rybczynski, autore di svariati video, anche musicali, e vincitore nell’1983 di un Oscar per il Miglior cortometraggio d’animazione.

Entriamo nel vivo del suo lavoro: movimento e luce sembrano essere i due elementi topici.
Da circa 20 anni lavoro sulla ricerca del movimento, in particolare di quella traccia energetica delle persone e delle cose, soprattutto dell’acqua, un soggetto a me molto caro. Cerco sempre di trovare una sorta di rapporto affettivo nei confronti dei soggetti e quindi successivamente un rapporto di bilocazione, che consiste nell’uscire da me stessa per poter meglio cogliere le vibrazioni energetiche. In questo modo, non si muove solo il soggetto, ma mi muovo anche io; senza contare che anche la camera compie nel tempo e nello spazio un ulteriore movimento (minimo, circa un quarto di secondo). Questo processo mi permette di registrare quel rapporto con la cosa vista prima e intuita: la sintesi diventa un prodotto della mente, ma allo stesso tempo è reale, perché è dalla realtà che deriva. La fotografia registra le cose per quello che sono e quindi l’idea è quella di riuscire a cogliere un’intuizione mentale nel reale. Da qui anche la luce diventa un elemento fondamentale, il grande ispiratore, perché guardando le cose attraverso la luce si percepisce la materialità del corpo, l’essenza della cosa che ti sta di fronte.

di Mariapaola Bossini