Piero Fogliati e Leonardo Mosso sono due grandi visionari, che hanno oltrepassato gli 80 anni. A Milano, una mostra raccoglie alcune tra le opere più rappresentative della loro carriera.
Fare arte è un’utopia. Ma realizzabile. Sembra un ossimoro, e invece è la realtà: a dimostrarlo è EUREKA! L’invenzione e il modello, in mostra al MACS (Mazda con-temporary space) di Milano fino al 23 febbraio. La mostra, curata da Fortunato D’Amico e Barbara Carbone, esibisce opere e schizzi di due grandi artisti del nostro tempo, Piero Fogliati e Leonardo Mosso. Entrambi torinesi e over 80, i due hanno un terzo elemento in comune: sono grandi visionari. La loro arte è un sogno, un’utopia appunto, che parte da disegni, ipotesi, concetti astratti, e che ha trovato la strada per una concretizzazione, una realizzazione nello spazio e nell’ambiente circostante.
Leonardo Mosso - Alla serata di inaugurazione, Leonardo Mosso parla delle sue opere, costruite all’insegna del movimento, e di come in molti casi i due piani alla base del suo lavoro, arte e architettura, abbiano interagito portando alla realizzazione di installazioni di grandi dimensioni, diventate elemento vivo e caratterizzante dell’urbanistica di tante città italiane (Torino in primis), ma anche tedesche e finlandesi. Con lo sguardo rivolto verso l’alto, indica al pubblico le sue opere che pendono dal soffitto, “quelle piccole farfalle volanti che vedete lassù”. Si tratta dei suoi celebri algoritmi del movimento, rappresentazioni in chiave artistica di progressioni logaritmiche. In un faccia a faccia con Mosso, l’artista mi racconta di aver lavorato a lungo con Le Corbusier, le cui idee lo hanno indelebilmente influenzato: “Un genio grandioso, quell’uomo. Eravamo molto legati, per me è stato come un secondo padre”, mi rivela. E mentre parla una straordinaria forza vibra in lui, a dispetto della voce che esce dalla sua bocca con suono flebile, come un sussurro.
Piero Fogliati - Anche le opere di Pietro Fogliati sembrano avere alla base una matrice “scientifica”: questa volta, non matematica, ma ottica. Le sue opere sono giochi di luce e colori proiettati su oggetti in movimento, come ad esempio un Prisma meccanico (che è poi il nome di una delle opere in mostra). Questi lavori sono l’intento di dare forma e corpo ai visionari progetti di una vita: Fogliati voleva illuminare il mondo, colorare la pioggia, generare esplosioni cromatiche sui muri delle case. E ci si è messo nel suo piccolo, passando dal pennello all’azione pratica, con la realizzazione delle opere presenti al Macs. “Mio padre ha saputo sporcarsi le mani”, mi racconta Paolo Fogliati (il figlio), che ha contribuito a curare l’esposizione (Pietro Fogliati purtroppo è in gravi condizioni, ndr), “ha saputo passare dal bozzetto alla realizzazione. Da pittore che era, si è messo a studiare ottica e meccanica, e ha realizzato con mano propria le sue creazioni”. Gli chiedo che cosa è cambiato nelle sue opere con il passare del tempo, dagli anni della gioventù ad oggi: “È rimasto sempre lo stesso: un visionario. Non c’è termine migliore per descrivere mio padre. Ha passato una vita pensando e creando progetti che tutti ritenevano irrealizzabili. Credo che le opere qui esposte rappresentino al meglio la concretizzazione della sua utopia”.
di Chiara Martinoli