Designed by the French architect Guilhem Eustache, the Fobe House strikes for its apparent simplicity and lightness, but let him explain how creating a project fit for the desert is not any easier than chasing a mirage.
A voice in the desert: until the recently planted trees will grow tall enough to fill the 2,5ha site, this is what the Fobe House will remind of. Completed in 2007 on a project by Guilhem Eustache, who graduated in 1986 from Architecture School in Paris, the Fobe House is located 10km away from Marrakesh, Morocco. With its white and linear volumes between the bare soil and the horizon, the residence looks ethereal and Eustache refers to it with a rather narrative touch.
How has the personality of the commissioner influenced the project?
The clients gave me a significant freedom about the so-called “Fobe” House because at the time it was meant to be used only by guests. Dimitri de Clercq, the owner, took great part throughout the whole process. We share two passions: cinema (he works as film director and producer) and architecture.
How challenging was designing a project fit to the desert character of the site?
Fobe House is neither the product of an aesthetic quest nor a mere adaptation to a given natural environment. You start off with a blank page and begin to design by adding subsequent elements that generate great spatial variety. I have been using this enriching approach.
The Fobe House eases the reading of the landscape, especially of the Atlas; how was this best achieved?
The buildings take up only 240m². The disposition of the volumes and their being held in suspension avoid a floating effect. You have to access the site following the rammed earth walls surrounding it. Beyond these, white geometrical volumes appear. Three spotless tablets form a portico and endorse the longitudinal axis of the main building lying at the centre of the plot. The main building is both simple and complex. It is a laminate consisting of longitudinal veils in which high windows, geometrical shapes, openings and frames find place. This is especially true in exiting the lounge, through the pool and its steps rising towards Mount Atlas.
What features of the building have the stronger links with the local culture?
I was born in Nîmes and lived in Southern France until I was 19; also, my stepfather was an architect, originally from Alger. Certainly, one among various travels in Morocco that influenced my work was my stay in Chefchaouen, a small town in the North-east of the Country. Directly derived from this Mediterranean architecture are the use of white and of significant heights, the choice of simply coated, thick walls and the setting of the pools. From the same origin comes the careful work on light – notably with the use of mashrabiya (wooden lattice), and on simple volumes.
- Giulia Carones
- Path Yerebatan di Chiara Martinoli
- Jean Nouvel – multiformi creazioni di Luigi Piscitelli
DESIGN DA DESERTO
Tra influenze mediterranee e minimalismo, l’arte di riscrivere il paesaggio partendo da una pagina bianca.
La Maison Fobe, progettata dal francese Guilhem Eustache, stupisce per la sua apparente semplicità e leggerezza, ma l’architetto spiega come concepire una costruzione per il deserto non sia così diverso da inseguire un miraggio.
Finché gli alberi da poco piantati non copriranno i 2,5 acri del sito, la Maison Fobe assomiglierà a una voce nel deserto. Completata nel 2007 su progetto di Guilhem Eustache, laureatosi nel 1986 all´Ecole Spéciale d´Architecture de Paris, la Maison Fobe sorge in Marocco, a 10km da Marrakesh. Grazie ai volumi bianchi e lineari che si stagliano contro la terra nuda e l’orizzonte l’edificio sembra etereo ed Eustache ne parla con tono quasi narrativo:
Come ha influito sul progetto la personalità del committente?
I clienti mi hanno lasciato grande libertà di manovra per la cosiddetta Maison “Fobe” poiché doveva essere usata solo dagli ospiti. Dimitri de Clercq, il proprietario, ha partecipato ad ogni fase del progetto. Condividiamo due grandi passioni: il cinema (è regista e produttore cinematografico) e l’architettura.
Quanto è stato difficile progettare un edificio adatto al carattere desertico del sito?
La Maison Fobe non è il prodotto di una ricerca estetica né un mero adattamento ad un dato ambiente naturale. Si comincia da una pagina bianca; il progetto prosegue tramite l’aggiunta di elementi successivi, che creano una grande varietà di spazi. Ho usato questo metodo di arricchimento.
La Maison Fobe facilita la lettura del paesaggio, soprattutto della catena dell’Atlante; come ha ottenuto questo effetto?
Gli edifici occupano solo 240m². La disposizione dei volumi e il fatto che siano rialzati rispetto al terreno evitano un effetto di galleggiamento. Si accede al sito lungo i muri in terra battuta che lo circondano. Dietro a questi compaiono bianchi volumi geometrici. Tre blocchi immacolati formano un portico e promuovono l’asse longitudinale dell’edifico principale, situato al centro del lotto. L’edificio principale è semplice e complesso allo stesso tempo; è un laminato costituito da pareti longitudinali, in cui si inseriscono finestre slanciate, forme geometriche, aperture e cornici. Questo aspetto è evidente soprattutto lasciando il soggiorno, tramite la piscina e i gradini che da essa salgono verso l’Atlante.
Quali caratteristiche dell’edificio sono più legate alla cultura locale?
Sono nato a Nîmes e ho vissuto nel sud della Francia fino ai 19 anni; il mio patrigno era un architetto, originariamente di Algeri. Tra i vari viaggi in Marocco che hanno influenzato il mio lavoro uno dei più importanti è stato il soggiorno nel piccolo villaggio di Chefchaouen, nel nord-est del Paese. Di influenza prettamente mediterranea sono l’uso del bianco le altezze significative, i muri spessi e semplicemente rivestiti, i giochi d’acqua. Hanno le stesse origini mediterranee il grande lavoro sulla luce – soprattutto con i reticoli in legno, e sui volumi semplici.